domenica 15 novembre 2009

SCHIZOFRENIA

Cenni storici

Le prime descrizioni della schizofrenia vennero effettuate nel 1809, quasi contemporaneamente da Pinel alla Salpetriere di Parigi e da Haslam al Bethlem Hospital di Londra. Entrambi infatti descrissero alcuni quadri clinici caratterizzati dall’insorgenza in età postpuberale di un netto cambiamento della personalità, dalla comparsa di profonde alterazioni dell’affettività e del pensiero e da un progressivo deterioramento comportamentale.
Il termine demenza, già introdotto da Pinel per descrivere questa sindrome, veniva successivamente ripreso da Morel nel 1860 con il termine di demenza precoce, per descrivere il caso di un ragazzo di 14 anni che aveva presentato modalità, inizio di sintomatologia e decorso analoghi a quelli descritti da Pinel e Haslam. Il merito di aver dato un ordine e una coerenza interna a queste osservazioni cliniche spetta a Emil Krepelin che, nel 1893, descrisse un gruppo di disturbi, apparentemente eterogenei, come facenti parte di un medesimo processo morboso che aveva come caratteristiche comuni l’esordio in età giovanile e il progressivo decadimento di varie funzioni psichiche fino a una condizione simile a quella delle demenze di origine organica che chiamò demenza precox. La demenza precoce, sulla base di queste osservazioni, era distinguibile nettamente da un’altra sindrome, che Krepelin chiamò psicosi maniaco depressiva (l’attuale disturbo bipolare), caratterizzata invece da fasi di melanconia e di eccitamento variamente alternatesi con periodi liberi e senza deterioramento progressivo. Elementi unificanti dunque della nuova sindrome erano l’età di inizio (giovanile), il decorso ( più o meno rapidamente progressivo), e l’esito (in un quadro simil-demenziale). Krepelin, molto lungimirantemente, considerava la dementia precox, come una vera malattia endogena, da ricondurre a una qualche alterazione organica del cervello di origine ancora sconosciuta o un’alterazione metabolica. Successivamente lo svizzero Eugen Bleuer (1911) mostrò una visione più ampia del disturbo che chiamò schizofrenia, dal greco σχίζω (schizo, scissione) e φρενός (phrenos, cervello) o malattia dissociativa, in quanto aspetto preponderante e presente in tutti i pazienti era la frammentazione del pensiero. A questo sintomo ne aggiunse altri che erano considerati di grande importanza e cioè le cosiddette quattro A di Bleuler che rappresentavano i sintomi primari e cioè: associazione (viene meno la capacità di costruire i nessi associativi del pensiero), affettività (appiattimento affettivo), autismo (ridotta interazione sociale e comportamento inflessibile, impersonale) e ambivalenza (coesistenza di due impulsi opposti tra loro e diretti contemporaneamente verso al stessa persona o lo stesso oggetto). I sintomi secondari erano invece riconducibili a deliri e allucinazioni. Nel corso del tempo l’inquadramento della schizofrenia ha subito una miriade di rimaneggiamenti fino a giungere alla classificazione attuale del DSM-IV che elenca i criteri per porre diagnosi di schizofrenia.

Quadro clinico

Non c’è un segno o sintomo caratteristico di schizofrenia, pertanto la diagnosi è possibile alla luce di un inquadramento ampio che tenga in considerazione più aspetti: la familiarità, la personalità e il modo di porsi prima dell’esordio della malattia, il livello di istruzione e di intelligenza, il substrato culturale e religioso. L’età di esordio si colloca generalmente nell’adolescenza o nella prima giovinezza. La fase conclamata è preceduta da una fase prodromica in cui si possono osservare modificazioni della sfera sociale e relazionale con riduzione progressiva dei contatti interpersonali, peggiore performance scolastica e lavorativa, distacco chiusura, marcato senso di insicurezza o diversità. Possono comparire idee strane o bizzarre e il soggetto può manifestare convinzioni di tipo magico o mostrare particolare interesse per lo studio di telepatia o chiaroveggenza; l’eloquio può apparire impoverito, vago o al contrario prolisso. Si può riscontrare inoltre ansia, insonnia, forte irritabilità, distraibilità, senso di irrealtà. A questa fase segue quella attiva di malattia in cui i sintomi fanno la comparsa come eventi sconvolgenti le caratteristiche del soggetto.
Sul quadro sintomatologico della malattia conclamata, dunque, si è molto dibattuto. Una distinzione clinica utile è quella tra sintomi positivi e negativi.
Sintomi positivi Allucinazioni (v. box su)
Deliri (v. box su)
Comportamento bizzarro
Disturbi formali del pensiero
Sintomi negativi Appiattimento affettivo
Alogia (povertà di eloquio, non fluente)
Apatia
Anedonia (mancanza di piacere)
Deficit di attenzione

Criteri per la diagnosi di schizofrenia secondo il DSM-IV

A Sintomi caratteristici: presenza di due o più dei seguenti sintomi, ciascuno presente per un periodo di tempo significativo durante un periodo di un mesi Deliri
Allucinazioni
Eloquio disorganizzato
(il paziente passa da un argomento ad un altro, associa le parole in base ai suoni anche se prive di senso, fino ad un eloquio incomprensibile)
Comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico
Sintomi negativi, cioè appiattimento affettivo, alogia (povertà di eloquio, non fluente), abulia (mancanza di energia, iniziativa, interesse)
B
Disfunzione sociale/lavorativa
il lavoro, le relazioni sociali o la cura di sé si trovano notevolmente al di sotto del livello raggiunto prima della malattia
CDurata
segni continuativi del disturbo persistono per 6 mesi
D Esclusione dei disturbi schizoaffettivo e dell’umore
E Esclusione di sostanze e di una condizione medica generale
il disturbo non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza o ad una condizione medica
FRelazione con un disturbo pervasivo dello sviluppo

Per fare diagnosi, devono essere soddisfatti tutti e 6 i criteri di cui sopra


Sottotipi

- Paranoide: è il meno frequente e si caratterizza per la presenza di deliri di persecuzione o di grandezza e allucinazioni uditive in assenza di gravi alterazioni del funzionamento cognitivo e dell’affettività. I deliri più frequenti sono di grandezza o di persecuzione ma possono verificarsi anche altri deliri con altre tematiche (gelosia, religiosi, somatici). In alcuni casi si possono osservare sintomi associati quali ansietà, collera, distacco e litigiosità. La prognosi di questo sottotipo di schizofrenia è migliore rispetto agli altri.
- Disorganizzato: caratteristica essenziale è la disorganizzazione del linguaggio (accompagnato a volte da risate dissintone rispetto al contenuto dell’eloquio) e del comportamento(incapacità a svolgere le più comuni abitudini quotidiane come vestirsi, lavarsi) e l’affettività appiattita (apatia, disinteresse, disadattamento) o inadeguata.
- Catatonico: qui vi è una marcata alterazione psicomotoria che può comportare immobilità motoria, eccitamento motorio, negativismo, mutacismo, posture obbligate, ecolalia, ecoprassia. A volte è necessaria un’assistenza medica per la malnutrizione, deperimento o lesioni autoinflitte.
- Indifferenziato: manifestazione principale è la presenza dei sintomi classici caratteristici della schizofrenia quali deliri, allucinazioni, disorganizzazione del pensiero o del comportamento.
- Residuo: è così definito l’esito di un episodio schizofrenico acuto in cui il quadro attuale sia senza sintomi psicotici rilevanti (deliri, allucinazioni, incoerenza e comportamento disorganizzato). Si riscontra però il residuo di alcuni sintomi quali appiattimento affettivo, povertà nell’eloquio o pensiero illogico.


Epidemiologia

La prevalenza (proporzione di individui di una popolazione che, in un dato momento, presentano la malattia ) della schizofrenia è dello 0,5-1%; sembrano più esposti i soggetti nati in città rispetto a quelli nati in campagna. I generi maschile e femminile sono colpiti in egual misura anche se la malattia inizia a manifestarsi intorno ai 15-25 anni nei maschi e a 25-35 anni nelle femmine. Queste ultime presentano un decorso migliore rispetto ai maschi, con un mantenimento del funzionamento globale più a lungo. Sembra che più colpiti siano i nati nei mesi invernali e nella prima parte della primavera: questo dato sembra esser correlato a infezioni da parte dei virus stagionali. I parenti di primo grado hanno un rischio 10 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare la malattia e questo attribuisce un peso non indifferente alla componente genetica e dunque alla ereditarietà della schizofrenia.

Cause

A tutt’oggi non si conoscono le vere cause della malattia ed i dati a disposizione inducono a ritenere che questo disturbo sia il risultato dell’ interazione tra la struttura di personalità, elementi genetici, fisico-biologici e psicosociali. Dunque l’orientamento attuale sembra condurre verso l’ipotesi di un determinismo multifattoriale. Nell’ambito comunque delle patologie psichiatriche, la schizofrenia appare il disturbo connotato da maggiori componenti biologiche.

Decorso ed evoluzione (prognosi)

Esiste una tendenza per i sintomi della schizofrenia a cambiare nel tempo: all’inizio il quadro clinico è caratterizzato da una preponderanza di sintomi positivi, ma con il passare del tempo i sintomi più frequenti sono quelli negativi. Alla luce degli studi attuali si può affermare che un 25% dei casi va incontro ad un ripristino delle normali condizioni di vita con pochi o nessun segno residuale, la metà presenta segni residui di una certa entità e solo un 25% va incontro ad un esito cronico e deteriorante.

Terapia

Il trattamento della schizofrenia si avvale della terapia farmacologica, di prima scelta, a base di neurolettici, dell’ospedalizzazione, della psicoterapia e della terapia elettroconvulsivante. La scelta del programma dipende dalla gravità dei sintomi, dalla fase, dal decorso, dal supporto dei familiari e dalle risposte ai trattamenti precedenti.

ALLUCINAZIONI


Definite anche dispercezioni, sono percezioni senza oggetto, cioè l’ attivazione di un organo di senso (vista, gusto, olfatto, udito, e tatto) in assenza dello stimolo sensoriale pertinente; si distinguono in:
- allucinazioni elementari (ad es. ronzii, fischi, scintille)
- organizzate (come musiche, disegni)
- complesse (come voci ben distinte e figure tridimensionali in movimento)
- funzionali (allucinazioni scatenate dalla stimolazione di uno stesso organo di senso come voci che insorgono allo scorrere dell’acqua quando si apre un rubinetto)
- riflesse (quando uno stimolo sensoriale attiva dispercezioni relative ad un altro organo di senso come ad es udire un certo suono provoca la visione di un determinato oggetto o persona)

In base alla modalità sensoriale attivata le allucinazioni di distinguono in:

Uditive (le più frequenti nella schizofrenia)
- imperative (il paziente sente voci che impartiscono ordini)
- teleologiche (il paziente sente voci che danno consigli)
- commentanti (il paziente sente voci che criticano o commentano l’operato del paziente)
- eco del pensiero (il paziente sente voci che ripetono ad alta voce il proprio pensiero)

Visive
- microzooptica (visione di piccoli animali)
- lillipuziana (visione di piccoli uomini)
- autoscopica (visione del proprio corpo in una o più copie)
Olfattive e gustative: c’è la percezione di gusti e odori solitamente sgradevoli in assenza di una fonte che li emani.

Somatiche
- tattile (sensazione di sentirsi toccare)
- idriche (avvertire sensazione di bagnato)
- termiche (avvertire calore)
- aptiche (sentire scosse elettriche)
- cinestesiche (percezione di spostamenti del corpo in assenza di movimento reale come ad es oscillare, sprofondare, volare o sentirsi costretto a compiere azioni imposte dall’esterno)
- sessuale (sensazione di avere un’esperienza sessuale di penetrazione, violenza, masturbazione anche a distanza)
- algica (sensazione abnorme di dolore)
- zoopatica (sensazione di possedimento da parte di animali)
- bizzarre (avvertire organi in decomposizione, dalla consistenza di legno

DELIRI

Il delirio è un disturbo del contenuto del pensiero. L’elaborazione della realtà esterna è sbagliata e non cede a fronte di ogni forma di ragionamento o di evidenza che tentino di demolirla. I deliri possono essere suddivisi in:
- paranoidei
- di trasformazione
- mistici
- depressivi
- di grandezza o megalomanici,
- di gelosia
- bizzarri


Deliri paranoidei o di persecuzione

Si caratterizzano per la convinzione che l’ambiente sia ostile; comprendono:
- delirio di riferimento (il soggetto interpreta situazioni e avvenimenti come se fossero riferiti a lui);
- delirio di nocumento (danneggiamenti più o meno precisati);
- delirio di veneficio (la convinzione di essere oggetto di avvelenamenti);
- delirio di persecuzione (il paziente identifica sia il persecutore, che può essere un familiare, un condomino, i servizi segreti, sia le modalità, ad esempio, i pedinamenti)
- di rivendicazione e querela (il paziente è convinto, in assenza di un fondamento, di aver subito un torto, quindi intraprende azioni legali con dispendio di soldi ed energie)
- di controllo o influenzamento (tipico della schizofrenia; il paziente è convinto che i propri pensieri, la volontà o i sentimenti siano correlati da forze esterne come la telepatia o le radiazioni elettromagnetiche)
- di furto, inserzione o lettura del pensiero (tipici della schizofrenia; il paziente è convinto che forze esterne strappino via, inseriscano o leggano i pensieri)
- di trasmissione (tipico della schizofrenia; convinzione che i propri pensieri siano uditi da altre persone)



Deliri di trasformazione

Si caratterizzano per il convincimento di un estremo cambiamento avvenuto nel proprio fisico o nell’ambiente esterno. Comprendono:
- delirio di trasformazione cosmica (terrifico o estatico sentimento di un imminente globale cambiamento del mondo o dell’esistenza)
- delirio palignostico ( il soggetto non riconosce o attribuisce identità erronee a persone a lui familiari)
- delirio metempsicosico (convinzione di vivere nel corpo di un’altra persona)
- delirio zooantropico (convinzione che il proprio corpo è trasformato in quello di un animale)
- delirio ipocondriaco (convinzione di essere affetto da una grave malattia incurabile)
- delirio nichilistico (convinzione che il mondo e il soggetto stesso abbiano cessato di esistere o il corpo è privo di qualche organo o apparato)
- delirio somatico (convinzione di un alterato funzionamento del proprio corpo)


Delirio mistico
Il paziente è convinto di vivere esperienze di contatto con il divino che gli rivolge delle rivelazioni o si identifica con la divinità.

Deliri depressivi
Rientrano in questo ambito tematiche connesse alla emergenza delle angosce esistenziali primordiali: l’angoscia per l’anima, per il corpo, per i beni della vita. Comprendono:
- delirio di colpa o autoaccusa (convinzione di essere responsabili di atti delittuosi mai avvenuti realmente, del disastro economico della famiglia, ecc…)
- di rovina e di povertà (disperazione per il convincimento di aver condotto la propria famiglia allo sfacelo con una situazione economica e sociale ormai irrimediabilmente compromessa con la condanna ad un’esisitenza senza possibilità i riscatto)
- delirio ipocondriaco (il paziente è convinto di essere portatore di una qualche malattia terribile e di essere condannato a sicura morte)
- delirio nichilistico o di negazione


Deliri megalomanici o di grandezza
Si contraddistinguono per una sopravvalutazione delle proprie capacità psichiche e fisiche. Comprendono:
- delirio ambizioso ( convinzione di possedere notevole forza fisica, di poter primeggiare in qualsiasi competizione, di essere dotati di acume e genialità)
- delirio erotomane (convinzione di essere amati da altra persona a livello sociale e culturale superiore)
- delirio megalomanico (convinzione di essere dotati di poteri vastissimi, sia materiali che spirituali e dell’immortalità del corpo)
- delirio di potenza (il soggetto si identifica con famosi personaggi politici, militari, storici, ecc…)
- delirio genealogico (convinzione di essere diretto discendente di qualche illustre casato dell’alta aristocrazia, parente di re, principi, ecc…)
- delirio inventorio (convinzione di essere l’autore di invenzioni di notevole portata)
- delirio di enormità (il soggetto considera il suo corpo disposto al centro dell’ universo, immenso, onnipresente e onnipotente


Delirio di gelosia
Assoluta convinzione di essere traditi dal proprio partner

SOLIAN E ZYPREXA


Schizofrenia: maggiore guadagno di peso e più elevati valori glicemici con Olanzapina rispetto all’Amisulpiride

L’impiego di alcuni antipsicotici atipici è associato a disturbi metabolici.

Ricercatori dell’Università di Lovanio in Belgio e di Hull in Gran Bretagna, hanno valutato i cambiamenti del peso corporeo e della glicemia in uno studio di comparazione tra Amisulpiride 200-800 mg/die ( Deniban/Solian ), oppure Olanzapina 5-20 mg/die ( Zyprexa ).

Allo studio hanno preso parte 377 pazienti adulti affetti da schizofrenia.

Entrambi i trattamenti hanno mostrato comparabile attività antipsicotica.

L’aumento di peso è stato significativamente maggiore nel gruppo Olanzapina ( in media 3,9 kg ) che nel gruppo Amisulpiride ( in media 1,6 kg ) ( p = 0.0004 ).

La glicemia a digiuno è aumentata nel gruppo Olanzapina, in media, da 4.42 mg/dl ad un valore massimo di 118 mg/dl.

Il diabete è stato diagnosticato in 1 paziente trattato con Olanzapina.

I cambiamenti metabolici nel gruppo Amisulpiride hanno interessato i pazienti con alto indice di massa corporea ( BMI ), al momento dell’inclusione nello studio.

Lo studio ha dimostrato che alle dosi che forniscono un controllo, comparabile, della psicosi, il trattamento con Olanzapina era associato ad un maggior aumento di peso corporeo e ad un innalzamento dei valori glicemici, rispetto all’Amisulpiride. ( Xagena2007 )

Penskens J et al, Int Clin Psychopharmacol 2007; 22:145-152

Psyche2007 Farma2007 Endo2007

XagenaFarmaci_2007

martedì 10 novembre 2009

Partecipazione al delirio schizofrenico o realtà del? inconscio collettivo ?

II paziente schizofrenico, diviso fra il cielo e l'inferno, Dio e
il Demonio, la rovina e la salvezza dell'umanità, si sente
talora posto dinanzi ad una contraddizione insanabile, che
può essere formulata dall'osservatore partecipe in questi
termini: « Sembra che una parte innocente della persona
venga tormentata a morte da una parte colpevole! ».
La prima, che noi in psicoterapia percepiamo profondamente
e di cui ci assumiamo la difesa dinanzi agli
spettri dell'annientamento, è talora avvertita anche dal
paziente stesso: così da Alfonso, il furioso e violento, che
minaccia e percuote tutti nei suoi scatti omicidi, e che
tuttavia improvvisamente si ferma nella sua rabbia e parla
di sé come dell' «Innocente », « buono come un pezzo di
pane », ma « tormentato nel cervello » dal Persecutore.
Questo Persecutore, che viene percepito dal malato tanto
spesso (e non solo nelle forme chiaramente paranoidi,
ma, secondo la mia esperienza, a tratti un po' dovunque
nel mondo schizofrenico), appare
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talora attraverso la proiezione su una facciata qualsiasi
dello spazio esterno al paziente (sul muro di casa come
negli occhi di un cane) e tal'altra attraverso una sorta di
percezione endopsichica, che si riveste di sensorialità, ed
è una « voce » interna, oppure sembra al malato un
canale diretto di conoscenza, una evidenza al di là di
qualsiasi « comunicazione ».
Questo Persecutore si configura nei casi che ho presenti
alla mente (casi trattati direttamente, casi supervisionati)
come un nemico ed un alleato del paziente nello stesso
tempo. Il malato è infatti contemporaneamente al di
dentro e al di fuori di esso:
ed è qui, in questo stare contemporaneamente fuori e
dentro il Persecutore che ha inizio il « progetto » della
scissione dell'Io, la spaccatura presto estesa a tutta
l'attività cognitiva ed emotiva dell'« lo diviso ». Il paziente
è, per un verso, fuori del Persecutore. Eccolo lì, povera
vittima terrorizzata, irrigidita nel panico catatonico o
agitata nella fuga paranoica, talora nascosta dietro un
paravento di caricatura grandiosa, ma che non perde mai,
neppure fra gli ori del delirio di grandezza, la coscienza
tragica del suo tormento. Tuttavia, lo stesso paziente che
disperatamente si difende dal suo Persecutore, si
identifica anche, quasi nell'istante successivo a quello
della sua fuga, dentro il risvolto delle sue stesse frasi, con
il persecutore dianzi temuto: come quel paziente da me
conosciuto in una singola consultazione, il quale, dopo
essersi presentato quale vittima della più orribile delle
persecuzioni, affermava subito dopo di essere il «
Superman », il « Maciste » colossale, ed esplodeva nella
minaccia di far saltare in aria tutto il pianeta. Era,
nosologicamente parlando, un ebefrenico in stato di
agitazione acuta, che con periodi alti e bassi durava così
da anni! Alla mia proposta di « staccarsi » dal fantasma
esplosivo che Io tormentava e ci minacciava tutti
(bisognava stare attenti che nessun oggetto solido stesse
sul tavolo, nessun tagliacarte a portata di mano)
replicava: « Ma se il mondo fuori è tanto brutto! » « Fuori
di che? » domandavo. « Fuori di me ».
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« Ma come è il mondo, dentro di tè; non c'è il tormento
terribile, come mi hai detto un minuto fa? ». « Dentro di
me ci sono anche i muscoli di acciaio, c'è la forza
immensa, Io splendore dell'Omicidio ». E si toccava le
braccia esili.
Eccolo lì, unito, abbracciato al Persecutore, anzi Lui
stesso, immerso in Lui in una simbiosi senza limiti.
Tormentato, sì, da quel mostro, ma anche, nel risvolto del
Sé, il mostro stesso, che spacca il mondo e l'Io in esso.
L'« Innocente » è completamente affascinato e sedotto
dal Persecutore, tanto da fondersi in esso.
Chi è questo misterioso Persecutore, questo sinistro
bagliore di potenza maligna nella « camicia di forza »
della malattia mentale? « Camicia di forza », dico, che c'è
già prima che noi la applichiamo, con i farmaci o con le
bende, per il fatto paradossale che il Dominatore violento
è sempre condannato ad infuriare ed esistere entro la
maschera irrealistica e grottesca del mentecatto, fino a
cancellarsi nel nulla.
Nel linguaggio del paziente suaccennato, il Persecutore e
Signore assoluto proveniva « da un altro mondo ».
Eccolo lì, nelle allucinazioni, l'aeroplano misterioso, che
interveniva dalle stelle pronto a rapirlo, a ricondurlo nella
« sua vera patria » — in quel mondo cioè, in cui il
Persecutore non avrebbe più infierito contro un Sé
innocente del paziente stesso, ma finalmente solo contro
gli altri; finalmente libero come tanti crudeli e « sani »
personaggi della storia, nemici di un mondo
apparentemente distinto dal Sé. Questo, in breve, il
delirio.
Ci sono però dei pazienti, più avanzati nel loro insight, i
quali avvertono invece tale stato di « apparente libertà »
nella « pseudosanità mentale » (così si esprime una mia
paziente) quale vera morte o dannazione definitiva. In altri
termini, il Persecutore diviso dall'Innocente, in cui egli
dilania se stesso e attraverso il tormento si trasforma, non
è più trasformabile, è il Demonio stesso.
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La paziente di cui parlo (altro delirio paranoide!) ritiene
che la sua malattia mentale è la « sua grande fortuna »
— qualcosa di tremendo, in cui lei deve calarsi sempre
più profondamente, per annientare, nell'annientamento di
sé, il Persecutore — il quale altrimenti farebbe di lei il
principio dell'odio, ossia del Nulla metafisico.
Si ha l'impressione, ascoltando questi deliri, come se un
soggetto maligno (a dire dei pazienti), il quale in uno
spazio ascoso dell'Iconscio collettivo (nel senso di C.G.
Jung) pre-esistente l'individualità attuale del paziente e le
vicissitudini della sua famiglia, vivesse un'esistenza
distruttiva e dovesse quindi calarsi nel mondo
schizofrenico, ossia legarsi ad un Sé innocente, per
superarsi.
La mia paziente sembrava dirmi incessantemente
questo.
L'io diviso di Bleuler e di Laing appare in quest'ottica
come l'incongruenza del Persecutore che ancora infuria
e dell'Innocente che paga quella furia con lo strazio della
vittima: quasi che solo tale strazio potesse, secondo i
detti della mia paziente, annullare centimetro per
centimetro il Persecutore immane.
Naturalmente, il « modello » cambia a seconda del
malato. In un altro caso il pericolo mortale avvertito dalla
paziente con un intensissimo senso di colpa e di panico
era quello di « trascurare gli altri ».
Nell'Inconscio collettivo di quest'altra paziente sembrava
esserci il fantasma di una madre snaturata,
apparentemente ben diversa dalla madre reale, che fa
morire di incurie la sua figlioletta. La paziente non
riusciva a staccarsi da tale fantasma; nei sogni lei viveva
in prima persona tale situazione, vedeva una bimba, una
sua figlioletta gridare e supplicare di non trascurarla.
Ed ecco allora che tutto il delirio sembra essere una
difesa immane contro tale pericolo: la paziente non può,
non deve « trascurare nulla », deve badare ad ogni
capello degli altri: ad esempio non può mai affermare la
propria opinione senza il terrore che
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questa dispiaccia agli altri, la separi dagli altri; non può
staccarsi da nessuno, datore di lavoro o amico, senza il
funesto presagio di andare così a pezzi — all'opposto
della madre del sogno, che si separa cinicamente dalla
figlioletta morente.
Per ristabilire l'equilibrio della bilancia, questa paziente
deve vivere in continua fusione con l'oggetto. Lei, che
(nel sogno) trascura l'oggetto di amore, è condannata
nella malattia mentale a fondersi simbioticamente con gli
oggetti: fino a svestirsi nuda dinanzi alla casa dell'amico
fugace, per vivere, nella fusione che annichila la sua
individualità, quella « elettroforesi » che è l'unica sua
chance di esistenza. In un altro caso di mia esperienza il
paziente — ancora una volta « causa misteriosa della
morte di conoscenti e di sconosciuti » — si trova adesso
inviluppato in un destino, in cui lui si crede al centro
dell'Universo, da cui emanano incessantemente e da ogni
angolo messaggi, cifre, allusioni, che mettono ogni
evento mortifero in rapporto con lui. Di fronte a questa
immane catastrofe— quella in cui il pericolo del paziente
ossessivo è già accaduto, ma ad un ingrandimento
inverosimile — la sola possibilità di salvezza sembra
essere, agli occhi del paziente, il suo rapporto folle con il
terapeuta; il rapporto cioè con un oggetto « diverso », con
cui mettersi disperatamente in contatto senza tuttavia mai
riuscirvi: perché, a dire del paziente, non c'è comunicazione,
ma solo un annaspare disperato — nella realtà, ad
esempio un acting di telefonate notturne — destinato a
naufragare, come lui prevede, nella impazienza e nel
rifiuto del terapeuta e nella di lui disillusione, anche
quando il terapeuta sembra essere a disposizione e
ripete le interpretazioni date.
Così, il « Persecutore dannato » rimane imprigionato
nella sua vittima, che adesso è il paziente stesso.
Quando io, come terapeuta o supervisore, ascolto queste
storie, le comprendo nei parametri dell'infanzia dei
pazienti; ad esempio attraverso la lettura che la madre
snaturata del sogno è la madre apparentemente mite
della malata, ma depressiva e quin-
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di trascurante, con cui lei, la paziente, inconsciamente si
identifica, e che cerca di salvare assumendosene la
colpa. Eppure, a me sembra di vivere in due piani —
come se ci fosse in me un secondo piano ove sembrano
parlarmi pre-esistenze razionalmente sconosciute; come
nei detti del poeta Neruda:
« LIanto de viejas bocas, sangre de viejas suplicas.
Eschuchas otras voces en mi voz dolorida ».
Questo secondo piano fantasmatico, questa visione
dell'Inconscio collettivo, mi aiuta ad esser vicino al
paziente, entrando nel delirio come in una cifra segreta
dell'esistenza, che non potremo mai possedere
razionalmente, ma che potremo forse cambiare introducendo
in essa quella dimensione di dualità che nella
cifra psicotica appunto manca.
In un certo senso, io terapeuta posso entrare nell'orbita
micidiale della psicosi ed essere veramente vicino al «
Persecutore-Vittima » solo permettendo che queste
qualità vengano estese alla mia persona;
che il dramma terribilmente autistico diventi il « nostro »,
acquisti una dinamica opposta a quella di «
smembramento di una duplicità originaria »; di uno
smembramento umano che nella luce travisante ed
illuminante del delirio sembra stare alla sua stessa base.
Il ruolo di « vittima » dello psicoterapeuta appare già nel
contesto istituzionale: legato al suo paziente per lunghi
anni, spesso senza alcuna garanzia che l'opera comune
riuscirà, costellato dai dubbi non dico dei famigliari e
colleghi, ma da quelli dei suoi stessi pensieri. E leggiamo
ancora le descrizioni che i terapeuti ci danno del loro
stato: si sentono « costretti », « nullificati », «
spersonalizzati », perfino sadicizzati nella loro
partecipazione ai pazienti; essi vanno incontro persino a
sintomi di conversione dopo le sedute, di nausea o di
vomito; intascano percosse fino (come in qualche caso a
me noto) all'invalidità fisica e rischiano la vita.
Inoltre, il terapeuta deve spesso « porsi a disposizione »
della rabbia del paziente. Nulla teme il persecutore-vittima
quanto l'uscire veramente dal suo
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Fig. 1
Fig. 2
mondo; come quella malata che avendo una volta in
terapia realizzata la vera figura di suo padre, compassionevole
e misera, finora travisata dalla maschera
psicotica persecutrice e grottesca, sentiva, anziché la
liberazione dell'insight, un « urlo inferiore » — l'urlo del
terrore del distacco dallo spettro e la paura del contatto
umano.
Il terapeuta, che è il rappresentante di questo contatto, è
perciò una fonte continua di panico; ma di un « panico
progressivo » che è il rovescio del persecutore; un
risvolto che può essere veramente rivoluzionario perché
porta, come in una senapia, gli occhi e i tratti stessi del
paziente.
Il Persecutore continua così la sua opera; fino al punto
che il paziente, il quale altrimenti solo infierisce contro
l'odiato Sé, piange talora per un altro, si cura del
benessere dell'altro, toccando talora vette di altruismo. E
c'è poi anche l'altro versante, che emana dal primo. Il
terapeuta appare al paziente come il persecutore; e in
vari modi!
Uno dei modi meno comuni, abbastanza originale, è
quello di un mio caso. Le mie parole appunto perché
benefiche e ricercate « uccidono » la paziente — come
visibile in un suo dipinto; esse la uccidono qualunque
cosa io dica, e finalmente inglobano così, in un essere
che lei ama, la qualità terribile del persecutore. Non c'è
transfert negativo— ma positivo entro la persecuzione!
Se la disidentificazione dell'Io dal Persecutore ha avuto
inizio nel vissuto del paziente, questi inizia anche a
sentirsene la vittima.
Nel delirio vero e proprio, la vittima è ancora identificata
col Persecutore, ne ha assorbito la distruttività e la colpa,
e non ha perciò alcuna aura di martirio intorno alla sua
sofferenza. E perciò il delirio non guarisce, anche se c'è
remissione clinica.
Redenzione, e non remissione; spirituale, e non delirante,
c'è solo quando la vittima, come nella creazione artistica
di una mia paziente (fig. 1), comincia
17
finalmente a sentirsi sdoppiata dal suo Persecutore (il
quale è tuttavia ancora simbioticamente avvinghiato a lei,
e sovrasta il suo capo come il « Ka » degli antichi egizi).
Allora abbiamo una trasposizione bellissima: tutto il male
delirante, di cui è altrimenti intriso l'Io del paziente,
converge sul volto terribile del Persecutore;
mentre il paziente stesso, che si delimita nei suoi riguardi
(e così nei riguardi di tutto il mondo, il quale non penetra
più nell'Io) acquista i tratti sofferenti, ma relativamente
sereni, del « portatore della luce » (fig. 2). È questo il
nome: « Kerzenträger », che vien dato ad una probabile
figurazione di Cristo nel duomo romanico di Erfurt in
Germania.
Da un punto di vista psicologico, ciò significa: il paziente
comincia ad amare se stesso.
Forse che questo nuovo se stesso, frutto dell'amore, o
meglio, questi nuovi frammenti di un nuovo Se stesso non
appaiono già fra le pieghe del vestito del « Kerzenträger »
della mia paziente? (fig. 1).
Paragono questi frammenti, ma in senso progressivo, al
suo rovescio psicopatologico e regressivo, alle « voci » e
allucinazioni: per dire tuttavia, che mentre queste ultime
sono prodotti di disintegrazione, e perciò « irreali », quei
frammenti del nuovo Sé sono gesti, spunti, riflessi di
integrazione, e perciò reali; facenti parte di quella realtà
sempre auspicata dalla mia paziente, chiusa, come lei
diceva, nella « pseudorealtà » della psicosi.
E, per Io più, è stato il lungo e perseverante amore del
terapeuta, il quale non si è lasciato fuorviare dalla
distruttività del Persecutore incorporato nel paziente;
è stata la capacità attenta e paziente del terapeuta, di
discernere nel delirio mostruoso e perverso le fat-tezze
amabili del paziente, le intenzioni progressive, i diritti
psicologici dell'uomo mascherati dal negativismo; è stata
insomma l'immagine virtuale che del malato si è fatto il
suo medico, a venire infine trasfusa in quello, a creare la
prima autoimmagine positiva, ad aprire le braccia in un
primo abbraccio del mondo e di se stesso.
18
È questo il « mito del portatore della luce nell'inferno della
psicosi », quale io ho scoperto nella psicoterapia delle
malattie mentali.
E tale portatore, il « Kerzenträger » di Erfurt, ripetuto
inconsciamente, come tutti i grandi archetipi, dalla mente
e dalle mani della mia paziente, è, si noti bene, non lo
psicoterapeuta che lo ha evocato con la sua debole, ma
fedele, intuizione: è il paziente stesso;
quella parte del paziente, che non viene distrutta da
nessuna psicosi ma che piuttosto sceglie — deve tragicamente
scegliere — il cammino della psicosi, intriso di
distruttività, per andare veramente al di là di essa e
ritornare a se stesso.
Direi qui, per adombrare una certa simmetria fra paziente
e psicoterapeuta, che questo « ritorno a se stesso » del
paziente non sarebbe stato possibile se il terapeuta non
avesse intravisto nel suo riflesso anche un cammino
proprio.
Soltanto allora le interpretazioni possono additare il
cammino al paziente, quando questi sente in esse i passi
dello psicoterapeuta; passi che questi compie nella
propria esistenza, e non solo per aiutare l'altro. Soltanto
allora l'immagine virtuale che del paziente si forma il
terapeuta, e traluce dalle sue interpretazioni, dalle sue
associazioni, dai sogni e dalle fantasie, è credibile per il
paziente; quando questi si forma anche lui un'immagine
del terapeuta, inconscia spesso, e la rende propria. È
questo il processo di « contraidentificazione », che io
vedo articolarsi simmetricamente e specularmente a
quello di « identificazione terapeutica ».
Si crea insomma, fra i due una forma di « simbiosi
terapeutica », che per gradi si sostituisce a quella, terribile,
fra il persecutore e la sua vittima-artefice.
La nuova simbiosi potrà scomparire, liquefarsi, quando
nel suo spazio saranno stati compiuti quei movimenti di
crescita, che alzano le mani del « Kerzenträger ». Allora,
infine, anche il Persecutore si trasmuterà: il suo volto
arcigno acquisterà quei tratti del destino archetipico, che
faceva dire agli antichi egizi, dopo la morte dell'individuo:
« Egli è ritornato al suo Ka ».
19
La « trasformazione » di cui intendo parlare è il « raddrizzamento
» della distruttività psicotica in una colpa,
ove il paziente ne è la vittima oltre che l'artefice, e ove lo
psicoterapeuta, difendendo la vittima, supera lui la realtà
della colpa.
In casi simili io sconsiglio di dire al paziente che il suo
odio è in qualche modo « comprensibile », che il « furto di
esistenza » è un tentativo disperato per sopravvivere ecc.
Che ne sappiamo noi? E se le cose stessero al contrario;
che cioè la perdita di esistenza è invece la conseguenza
di un furto arcaico, nel cui riverbero il paziente è a
contatto con il suo Inconscio collettivo?
Meglio aspettare e semplicemente costellare il senso
terribile di colpa con la nostra serena presenza, che
rimane tutto, amore del sofferente. Termino col ricordo di
un paziente schizofrenico cronico, il quale nel suo delirio
era persuaso di strappare agli altri la loro energia per
potere esistere:
« Ho voluto sempre fare di me stesso, colla violenza, il
furto e la morte, qualcosa di più grande di quel che io
sono ».
II « furto di energia » provocava in lui stati maniacali, in
cui egli non poteva godere della preda; sia perché il suo
Io non sapeva integrarla, non sapeva «e usarne »; sia
anche perché nel suo interno sorgeva un qualche Superio
distruttivo, ad esempio l'immagine della madre che «
penetrava in lui » e stimolava nuovo odio distruttivo.
Questo, a sua volta, lo faceva sentire demoniaco; nelle
sue allucinazioni egli gridava a se stesso: « Porco, no,
taci ». « Quello è una parte di me, sta a spiarmi e tace ».
Alla fine, il paziente cominciava a dire che, poiché lui
aveva perso tutte le relazioni umane, gli si voleva «
rubare anche il terapeuta ».
A questo punto io gli facevo notare che nella esistenza
sofferente esisteva un « qualcuno », il quale di volta in
volta era o il paziente che voleva rubare energia a tutto il
mondo, o un nemico che voleva rubare al paziente il suo
terapeuta. // persecutore era lo specchio simmetrico del
paziente. Questo era sdoppiato
20-
nel ladro e nella vittima. Ma il terapeuta non avrebbe mai
permesso a nessuno di separarlo dal paziente. Questa
era la frase decisiva; la colpa non poteva più accadere
perché l'amore era più forte di essa.
La psicologia del profondo ci insegna da decenni che i
sensi di colpa provati da tanti pazienti in analisi non
corrispondono ad una colpa « vera », il cui riconoscimento
è segno di maturità mentale; ma a una colpa
« infantile », le cui radici stanno nascoste nell'inconscio, e
la cui analisi permette la scoperta di traumi passati, di una
traumatizzazione dell'Io da parte di un Super-io infantile
inconscio.
Non il senso di colpa è allora autentico, spia di una colpa
esistenzialmente vera ma piuttosto falso è il Super-io
infantile trasposto in un presente neurotico. Senonché, le
cose non stanno sempre in questa maniera così
semplice; l'indagine dell'insonnia non ci permette
chiaramente di scoprire la « colpa edipica ». II problema
sembra riportarci a qualcosa di più antico, allo stesso
inconscio collettivo; come io ho soprattutto osservato
nella schizofrenia.
Pazienti schizofrenici sembrano talora rivivere nelle loro
crisi psicotiche delle colpe arcaiche depositate nel loro
Inconscio Collettivo; essi si sentono irresistibilmente spinti
a « rubare energia psichica agli altri », a distruggere con i
loro pensieri gli altri, a negarne l'esistenza; le nostre
descrizioni son pallida cosa di fronte all'incisività delle loro
terribili frasi:
« lo distruggo l'amore e rubo agli altri la loro energia ». «
lo sono una negazione totale di fronte alla vita ». « Ciò
che mi separa dagli altri, sono io stesso ».
Noi terapeuti non abbiamo spesso idea donde vengono
gli impulsi distruttivi di questi nostri pazienti:
da esperienze infantili? da introiezioni di aggressività
parentali? da impulsi aggressivi contro tali parenti? dalle
loro elaborazioni fantasmatiche di tali esperienze? da un
Super-io sadico all'interno del paziente? da una tendenza
costituzionale all'aggressività? dalla società di cui il
paziente è vittima e artefice?
Nessuna risposta causalistica può veramente accon-
21
tentarci; essa si basa, in ultima analisi, su una qualche
evidenza inferiore dell'osservatore, che poi viene
razionalizzata attraverso la teoria.
Talora avviene che il paziente viene spinto dalle sue
associazioni verso un « luogo intrapsichico », in cui la
colpa gli si svela attraverso l'immagine cifrata del simbolo.
Ricordo a questo proposito una paziente sofferente di una
spersonalizzazione cronica, durante la quale lei si sentiva
« vomitata da tutto il mondo », in uno « spazio oscuro e
demoniaco », « senza volto », « senza corpo » ecc.
A poco a poco questa paziente scopriva nei sogni una
casa, in cui era accaduto qualcosa di terribile. Nel sogno
decisivo lei si trovava in quella casa sapendo di essere
stata là in sogni precedenti.
Operai lavoravano nella casa o scoprivano dei cadaveri
sotto il pavimento. Questi operai « potevano esser lei
stessa », ma « potevano anche esser stati gli artefici del
delitto ».
Il fatto essenziale era che i cadaveri scomparivano come
tali e ritornavano esseri viventi attraverso l'inesprimibile
esperienza, di dolore e raccapriccio della paziente; la
quale condensava per così dire tutto il dolore e il
raccapriccio della spersonalizzazione in una sola scena,
capovolgendola in una « superpersonalizzazione »
allucinata di colpa, la cui presa di coscienza permetteva
contemporaneamente di andare al di là di essa.
La casa misteriosa era un pagliaio del paese natale,
presso cui, 15 anni fa, si era iniziata improvvisamente la
depersonalizzazione psicotica mentre la ragazza passava
casualmente per quel luogo!
Il trattamento psicoterapeutico del delirio non sta sempre
nel ridurlo in un fatto univoco, razionale, e per Io più solo
ipotetico; ma nel « lasciarsene prendere », fino al punto
da entrare nel dubbio, per varcare la soglia che separa la
nostra esistenza dall'irreale; fino al punto da fare
l'esperienza di essere con il paziente. A questo punto noi
cogliamo una dimensione del delirio usufruirle nella
psicoterapia, e consistente nel fatto che l'esperienza
condivisa del pa-
22
ziente si apre verso una sua trasformazione e progressione
(onirica, dialogica) che lascia uscire, possibilmente,
il paziente dal suo autismo.
È il movimento che noi imprimiamo sul delirio, più che
non la riduzione causale, è questo che ce lo fa «
comprendere ». La riduzione causale ci da la « nostra »
immagine psicodinamica; la quale non tocca il paziente,
ma gli resta indifferente e per questo stesso non è ancora
l'equivalente « del suo » delirio. Il movimento da noi
impresso è invece veramente il « nostro »: in quanto esso
trasforma l'esperienza delirante, e ne coglie l'essenza.

lunedì 9 novembre 2009

Augusto Daolio


La sua avventura nel mondo della musica comincia da adolescente quando assieme a Beppe Carletti fonda il primo gruppo con cui comincia ad ottenere una discreta fama locale, i Monelli.

In seguito con Franco Midili, Leonardo Manfredini, Gualtiero Gelmini e Antonio Campari fonda il gruppo dei Nomadi. Il complesso sarà destinato a diventare in breve tempo una delle più importanti band nella storia della musica italiana. Diventa il cantante ed il leader del gruppo, grazie al suo carisma e al suo rapporto con il pubblico caratterizzato dalla voglia di stare insieme ai fan, da lui sempre considerati amici. I testi delle sue canzoni, col passare degli anni, cominciano ad assumere un carattere sempre più politico. Si basti pensare che i Nomadi passano da canzoni come Donna La Prima Donna a Senza patria.

È evidente il cambio strutturale della voce e dell'intensità dell'espressione di Augusto col passare degli anni.

Comincia la sua avventura con i Nomadi quando è appena poco più che un ragazzino. In dischi come Per quando noi non ci saremo e I nomadi, la sua voce risulta alquanto acerba, ma già molto dotata di pesantezza quando si apprestava a testi socialmente impegnati che avevano un accento sulla rivoluzione. Radicale il cambio nell'album Mille e una sera che con canzoni come Un pugno di sabbia, "Mille e una sera, Non dimenticarti di me, Mai come lei nessuna e So che mi perdonerai Augusto dà prova di un'enorme personalità nel canto tra il dolce e il malinconico, tuttavia a volte incompreso fino agli anni ottanta (anni critici però per i Nomadi).

Una voce posata e fiscale in studio che tuttavia ribaltava completamente la situazione nei live. Famosa la versione dal vivo di una canzone come Ala bianca, originariamente pezzo di Elton John intitolato Sixty years on: laddove in studio pare di ascoltare quasi un richiamo ad un posto lontano e dimenticato, sottolineato dal suo tempismo privo di sezione ritmica ed eseguita maggiormente col piano rivestito di arrangiamenti orchestrali, nella versione live ci si trova di fronte ad una vera e propria prova di rock'n'roll suonato dalla band emiliana e interpretato da Daolio con quella vena rock che solo il pubblico riusciva a trasmettergli in un modo così coinvolgente.

Augusto Daolio al Cantagiro del 1967

Nel 1972 incide un 45 giri da solista: "Una ragazza come tante".

Il 1972 è anche l'anno di Io vagabondo, canzone simbolo dei Nomadi e del loro leader che amava identificarsi in questa canzone.


« Per me è istintivo alzarmi e cominciare a camminare, cominciare a muovermi. »


dice Augusto,


« A scuola ad esempio avevo un sacco di problemi, perché non riuscivo a stare fermo e seduto oltre un determinato tempo. Questo è il mio sintomo di evacuazione, di fuga alla ricerca di luoghi migliori... »


Muore il 7 ottobre 1992, alla fine di una breve e straziante malattia: una forma di cancro ai polmoni.

SOSTANZE NUTRITIVE CHE POSSONO ESSERE EFFICACI NELLA CURA DELLE MALATTIE MENTALI E DELLA SCHIZOFRENIA:

Organi Sostanze Quantità*
Generale Vitamina A

Complesso B 100 mg 3 volte al dì

Vitamina B1

Vitamina B2

Niacinamide 1000 mg al dì

Vitamina B6 100 mg 2 volte al dì

Vitamina B12 Iniezioni

Acido pantotenico

Vitamina C con bioflavonoidi 5000-10.000 mg al dì

Vitamina D

Vitamina E 800 UI aumentando lentamente sino a 1000 UI

Coenzima Q10 75 mg al dì

Lecitina 1 cucchiaio prima dei pasti

Calcio

Fosforo

Acidi grassi essenziali Olio di enotera, 2 capsule 3 volte al dì

Proteine Aminoacidi in forma libera

L-glutammina Insieme alla vitamina B6 e alla vitamina C, 1-4 g al dì a stomaco vuoto

Kelp 8 compresse al dì

Magnesio

Zinco

venerdì 6 novembre 2009

SCHIZOFRENIA

SINTOMI

Alterazioni dei sensi

Le alterazioni dei sensi possono consistere nell'aumento (più comunemente) o nella riduzione di alcune capacità.
L'aumento delle capacità percettive è paragonabile agli effetti indotti dall'assunzione di sostanze psicotrope, droghe o LSD. Tutti i sensi (l'udito, la vista, l'olfatto, il gusto, il tatto) possono subire delle alterazioni. Per il paziente i rumori possono essere percepiti più alti, come se qualcuno avesse alzato il volume di una radio. Le cose possono sembrare più grandi, più luminose, anche migliori, più brutte e deformate.
I colori e le trame degli oggetti possono fondersi l'uno nell'altro. L'udito può diventare estremamente sensibile e i rumori eccessivamente acuti. I sensi possono essere sommersi dagli stimoli esterni. Lo schizofrenico, che è in sovraccarico, non può separare gli uni dagli altri.
Il suono proveniente da uno strumento musicale distante o il rumore prodotto in una via della città o di una festa può interferire nel corso di una normale conversazione. Sembra che il paziente perda tutti i meccanismi che consentono il normale funzionamento del cervello.
Qualsiasi cosa interferisce sull'attenzione. Il paziente è tenuto come "in ostaggio"; i sensi sono sovraccaricati. Frequentemente si assiste ad un aumento della sensibilità a livello genitale. Tutto questo provoca una grande difficoltà nel concentrarsi, anche per questioni di scarsa importanza.
Quando tutti i sensi sono colpiti, lo schizofrenico può sentirsi illuminato e dare un significato religioso alla sua esperienza. Le preoccupazioni di carattere religioso sono un segno premonitore della schizofrenia.
Le percezioni possono essere ridotte, inclusa la sensazione del dolore. Gli schizofrenici - fatto comune - possono bruciarsi le dita con le sigarette senza accorgersene. Ci sono degli aneddoti sui malati mentali che hanno subito delle fratture ossee o rotto un arto senza provare nulla.

Incapacità di interpretare correttamente gli avvenimenti

Un fondamentale difetto del cervello dello schizofrenico consiste nella incapacità di ordinare, interpretare e rispondere come nel caso di un normale cervello.
Così le risposte di uno schizofrenico sembrano spesso "inappropriate": ride quando invece prova tristezza, oppure piange quando prova gioia. Per lui il significato delle parole, anche le più semplici, può essere difficile da comprendere.
Gli schizofrenici impiegano gran parte della loro concentrazione per comprendere cosa è stato detto (ad.es. nel corso di una conversazione), ma concentrarsi per loro, come appena detto, non è facile.
Sembra che essi siano "sconnessi" in ogni occasione. Possono entrare in contatto con le altre persone attraverso la vista, l'olfatto, l'udito, senza riuscire ad averne una intera percezione. Perciò le persone ammalate di schizofrenia pensano di aver visto ciò che gli altri non hanno visto.
L'incapacità di ordinare ed interpretare correttamente gli stimoli esterni e di selezionare risposte appropriate è una delle caratteristiche della malattia ed è la causa principale delle difficoltà che uno schizofrenico incontra nelle sue relazioni con la gente.
Per questa ragione alcune persone schizofreniche preferiscono impiegare il tempo per se stesse, ritirandosi e comunicando con gli altri il meno possibile.
Si dice allora che gli schizofrenici hanno "perso l'associazione" (ndr. in termini medici sono dissociati). Questa perdita deriva dal disordine dei loro pensieri. Nello schizofrenico la mente può saltare da "sole" a "sale" a "mare" a "elementi" a "massa della terra", a "massa solida", ecc., con perdita delle connessioni.
Un altra caratteristica del pensiero degli schizofrenici consiste nella perdita di concretezza, ovvero nella incapacità di afferrare concetti astratti. Per esempio il detto "Chi vive in una casa di vetro non può tirare i sassi" significa per lo schizofrenico "Il vetro si romperà" e non "se tu non sei perfetto non puoi criticare gli altri". Essi non riescono ad intepretare correttamente le definizioni astratte. Così se viene pronunciata la frase "guarda l'uccellino" (ad es. prima di scattare una foto) lo schizofrenico può guardar per aria.
Un difetto nella capacità di pensare con logicità è un sintomo della schizofrenia. Così è molto difficile per il malato compiere un percorso, viaggiare in autobus o preparare un pasto. La composizione delle parole (neologismi) è comune come nei processi di pensiero messi in relazione ai processi di linguaggio.
Gli schizofrenici spesso esibiscono un blocco nel pensare: l'incapacità di continuare un concetto, come se il cervello si bloccasse o fosse nei guai. Alcuni malati dicono che il pensiero "è stato risucchiato dalle loro teste". Un sintomo finale è spesso l'ambivalenza, ovvero l'incapacità di risolvere pensieri contrastanti. La mente può dividersi su un soggetto ed ognuno dei pezzi dividersi e così via.

Idee deliranti ed allucinazioni

Questi sono i sintomi più conosciuti. Le allucinazioni e le idee deliranti sono la conseguenza di una alterazione dei sensi e dell'incapacità da parte del cervello di interpretare e rispondere in modo appropriato agli stimoli esterni. In altre parole esse consistono in una alterazione logica di ciò che il cervello normalmente percepisce. I malati sono "impazziti" solo per gli altri; per la persona tutta l'esperienza viene vissuta come facente parte di un modello logico e coerente.
Le idee deliranti (o false credenze, illusioni) sono una serie di idee false credute dal paziente ma non dalle altre persone e non possono essere corrette per alcuna ragione. Spesso le illusioni diventano un vero e proprio convincimento ed ogni altro evento di conseguenza viene interpretato allo stesso modo.
Lo schizofrenico può credere ad esempio che un uomo che sta tossendo per strada in realtà gli stia inviando un segnale, oppure può credere che qualcuno lo stia osservando, controllando, manipolando o ipnotizzando. I malati pongono un evidente sbarramento agli stimoli esterni che ricevono e che non possono interpretare.
Le sensazioni di essere spiati o radio-controllati sono abbastanza frequenti.
Le credenze paranoidi sono comuni e possono essere pericolose se vengono messe in atto. Le manie di grandezza sono abbastanza comuni. Il paziente è convinto di controllare il mondo e di avere rapporti personali con figure storiche e potenti del passato e presente, come Gesù Cristo, la Vergine Maria,un Capo di Stato. Un evento relativamente abbastanza comune consiste nel fatto che la persona crede di controllare le menti delle altre persone o che i pensieri vengano comunicati dai loro cervelli come accade in una normale trasmissione da una radio o TV.
Le allucinazioni sono frequenti e rappresentano la fine dello spettro sntomatologico che inizia con l'alterazione dei sensi. Le allucinazioni uditive sono le più frequenti. Possono consistere in fruscii o in rumori come ad es. delle percussioni, delle frasi ripetitive, una voce, cori di persone o più voci. La persona può ascoltarle occasionalmente o in modo continuativo. Le voci e le allucinazioni uditive hanno un contenuto quasi sempre spiacevole. Le allucinazioni possono consistere anche in allucinazioni visive, dell'olfatto, del tatto. La persona può vedere cose che non ci sono, percepire degli odori che non esistono o provare sensazioni che sono solo immaginarie.

Alterato senso del sé

Normalmente gli individui hanno un chiaro senso del sè. Noi tutti sappiamo dove il nostro corpo finisce e dove iniziano gli oggetti inanimati.
Questo non è vero per gli schizofrenici che non sono capaci di distinguere se stessi dalle altre persone, distinguere parti singole del proprio corpo da altre, essere confusi sui loro organi sessuali e sulla loro identità.
Semplicemente non hanno un senso del sé.
Per chiarire meglio questo concetto, un paziente può avere gravi problemi e tentare fisicamente di correggere quanto erroneamente percepito attuando, ad esempio, un'auto-mutilazione.

Alterazioni affettive

I cambiamenti nelle emozioni (o affetti, come dicono gli operatori) sono uno dei più frequenti cambiamenti che avvengono negli schizofrenici. Ciò può essere tragico, per il risultato prodotto: l'individuo sembra non essere più capace di provare alucuna emozione. Inizialmente lo schizofrenico può provare una esperienza con un largo ed esagerato fluttuare delle emozioni, con colpe opprimenti e una grande paura che pervade tutto e non che può essere facilmente definita.

Le percezioni esagerate dei sentimenti sono presenti solo nella malattia e pertanto possono svanire. L'osservazione di questi sentimenti ed emozioni consentono di tracciare una linea di demarcazione tra la schizofrenia e la depressione maniacale. Gli schizofrenici infatti perdono la loro capacità di esprimere emozioni: gli ammalati di depressione bipolare no.
I cambiamenti più caratteristici nelle emozioni degli schizofrenici sono le emozioni inappropriate o appiattite, entrambe evidenziate in più pazienti.
L'appiattimento emotivo è l'incapacità di mettersi, in alcune condizioni, "nei panni altrui" è molto comune. (Nota: uno schizofrenico può non riuscire a capire la frase "mettersi nei panni altrui" e da lui viene interpretata realmente com'è, non per il suo intrinseco significato).
Le emozioni quindi si inaridiscono. Un paziente disse: "Se mi svegliassi e mi sentissi giù, sarebbe già un miglioramento". Negli stadi più avanzati della malattia non esistono più emozioni.

Alterazioni nei movimenti

Il cambiamento nei movimenti è dovuto all'uso degli psicofarmaci, ma per alcuni movimenti non è così.
Questo cambiamento consiste spesso in un modo goffo di procedere.
Il movimento ne è molto colpito e soprattutto non è spontaneo o aggraziato.
I movimenti ripetitivi come i tic, i termori, i movimenti involontari della lingua o alcuni atteggiamenti (succhiare, ecc.) sono spesso dovuti agli effetti collaterali dei farmaci.
Si nota frequentemente un aumento o un decremento nel battito cigliare.
Lo spiacevole effetto oculogiro, nel quale il paziente rivolta gli occhi verso l'alto è una conseguenza dell'assunzione di neurolettici: la correzione avviene con la contemporanea somministrazione di un farmaco antiparkinsoniano (Akineton, ecc.).
La catatonia, ovvero l'assenza totale di movimento è un altra forma di espressione deficitaria del movimento.

Variazioni nel comportamento

Le variazioni del comportamento sono sintomi secondari, ovvero sono una risposta a ciò che sta accadendo nel cervello.
Il ritirarsi, la catatonia e il mutismo sono abbastanza comuni.
I comportamenti ritualistici e ripetitivi come camminare in tondo, ripetere continuamente alcuni movimenti, sono anch'essi comuni.
La continua ripetizione di gesti (ovvero la gestualità stereotipata) o l'adozione di pose inusuali sono state largamente osservate.
L'ecolalia (cioè la ripetizione pronunciate da altri, ovvero il "fare il pappagallo") è un evento comune.
Un comportamento inappropriato, come ad esempio svestirsi o urinare in pubblico, sputare, ecc. è comparativamente raro e può essere evitato con l'uso delle medicine.